Tres jolie
Non mi è mai piaciuto entrare in contatto con gli autori dei libri che ho amato.
Ho sempre detestato sia le presentazioni — tra gli eventi più tristi e sconsolanti a cui mi sia mai capitato di partecipare — sia, ancor di più, quegli appuntamenti mondani in cui c’è addirittura il pericolo di conoscerlo di persona, l’Autore.
Tuttavia per nessuna ragione al mondo, caro Michel, avrei perso l’occasione, prima e ultima della mia vita suppongo, di vedere il tuo corpo e sentire la tua voce dal vivo. Perché sei forse l’unico scrittore che con i suoi libri ha inciso nel mio modo di osservare e valutare le cose del mondo, e di questo, a prescindere dalla qualità con cui osservo e valuto le cose del mondo, ti sarò sempre riconoscente.
Ecco perché non mi imbarazza ammettere che l’altro giorno, mentre prendevo posto all’auditorium del palacongressi del Lingotto, ero emozionato. Direi emozionato come la prima volta che ho varcato i tornelli di San Siro per assistere a una partita dell’Inter, o come la prima volta che ho visto i Ramones dal vivo. E la cosa a cui stento ancora a credere è che tu, Michel, nonostante il contesto in cui sei stato calato, non mi hai deluso, confermando di essere quell’uomo gentile, ironica e mite che ho sempre immaginato fossi.
Lo hai dimostrato per tutta l’ora dell’incontro, sempre più a tuo agio dentro quel barbour grigio-topo che a un certo punto hai avuto anche l’ardire di togliere. E di quei sessanta minuti ce ne sono un paio in particolare che mi porterò dietro, perché nella loro apparente irrilevanza restituiscono molto di come ti ho sempre visto. Fin dal quel lontano 2005, quando il mio amico Marco mi ha detto che avrei dovuto leggere Estensione del dominio della lotta, perché «ci rimarrai sotto, per sempre, lo so».
Il frammento a cui mi riferisco ha inizio con quei quindici, venti secondi in cui tu, Michel, estraniandoti dalle chiacchiere che ti venivano rivolte, hai improvvisamente inchiodato lo sguardo sulla giovane donna vestita di nero lontana qualche metro, alla sinistra del palco per noi spettatori, impegnata a tradurre le tue parole nella lingua dei segni. Torcendo il collo di quarantacinque gradi come uno dei grifoni che si possono ammirare a pochi chilometri da casa mia, la guardavi concentrato, incuriosito, forse ammaliato, di certo ormai incurante di ciò che ti circondava, per poi interrompere chi stava parlando e dire a bassa voce: “È la prima volta che lo vedo fare dal vivo. L’ho sempre visto in televisione, ma dal vivo mai”.
Per un istante nessuno in sala ha capito a cosa ti stessi riferendo. Solo seguendo il tuo sguardo l’origine della tua meraviglia si è rivelata al pubblico.
E quando ti è stato chiesto “che impressione le fa?”, hai risposto: “Voilà, est très jolie”.
Sì, era bello Michel. È stato tutto molto bello.