Meravigliosi
Lo scorso 14 marzo, una domenica fredda e umida, la giornata è iniziata male. Mentre bevevo il caffè davanti a Rai News24 ho appreso che nel corso della notte, a Los Angeles, se ne n’era andato uno dei più grandi pugili di tutti i tempi, Marvin “The Marvelous” Hagler, all’improvviso e a soli sessantasei anni.
Quattro giorni prima avrei voluto celebrare nel migliore dei modi il trentacinquesimo anniversario di una delle sue imprese più epiche, la vittoria contro John “The Beast” Mugabi al Cesar Palace di Las Vegas, al termine di un incontro che tutti gli addetti ai lavori definiscono tra i più spettacolari e cruenti della storia della boxe. Ma gli impegni di lavoro mi avevano impedito di farlo, così il malumore di quella domenica mattina era doppio: mi sentivo triste per la notizia e in colpa per la mia mancanza.
Anche quell’incontro, come tanti altri di Hagler, lo vidi in diretta, dopo essere stato svegliato nel cuore della notte da mio padre che per il Meraviglioso nutriva un’autentica venerazione. Ricordo la fatica di rimanere sveglio davanti alla tv nei primi minuti, con un occhio aperto e uno chiuso per il sonno, senza ancora immaginare che di lì a poco anche gli occhi di quelle due sculture nere sul ring sarebbero stati per metà aperti e per metà chiusi, ma a causa dei colpi di inaudita ed elegante violenza che si sarebbero scambiati fino all’undicesima ripresa quando il Meraviglioso, dopo tre ganci destri, un gancio sinistro e un altro destro d’incontro, aveva domato la Bestia: sotto i colpi di Hagler, Mugabi era indietreggiato fino a sbattere contro le corde, per poi crollare al tappeto e rimanere lì seduto con lo sguardo fisso nel vuoto per tutti i dieci secondi contati da Mills Lane, uno dei più grandi arbitri di tutti i tempi.
All’angolo opposto, con i gomiti appoggiati alle corde, Hagler osservava la scena con una tranquillità che mi è sempre parsa fuori contesto e che invece è anch’essa indizio dello spessore dell’uomo, oltreché dello sportivo. Quando Mills Lane, ancora inginocchiato davanti a Mugabi, smise di contare, si voltò verso Hagler, gli andò incontro e gli sollevò il braccio destro in segno di vittoria. Fu solo in quel momento, quando dal televisore sentii che aveva vinto «un grandissimo, stupendo, veramente meraviglioso Marvin Hagler», che tornai a respirare.
A pronunciare quel verdetto era stata la voce di Rino Tommasi, uno dei motivi per cui quella notte non mi sarei mai lasciato vincere dal sonno.
Tommasi è stato il mio commentatore sportivo preferito di sempre, capace di indurmi a seguire anche uno sport, il tennis, che ho sempre detestato. Di lui mi piaceva soprattutto il timbro della voce, l’esattezza con cui snocciolava dati e statistiche, e l’elegante ironia con cui condiva le sue telecronache.
Un giorno di tanti anni fa ho avuto la fortuna di incontrarlo alla fiera Più libri più liberi di Roma, a margine della presentazione del libro di Alban Lefranc Il ring invisibile, pubblicato dalla casa editrice 66thand2nd. Le rare occasioni in cui mi è capitato di poter conoscere un personaggio pubblico a me caro ho sempre evitato di farlo, per la paura di esserne in qualche modo deluso, ma quella volta non avevo saputo resistere: con la complicità di Isabella Ferretti, l’editrice di 66thand2nd, mi ero avvicinato a Rino Tommasi, gli avevo stretto la mano e confidato che quella notte del 10 marzo 1986, mentre al termine del memorabile sesto round tra il Meraviglioso e la Bestia lo sentivo pronunciare «incredibile, incredibile, una delle più belle riprese a cui mi sia mai stato dato di assistere», avevo capito di essere stato testimone di un evento che mi sarei ricordato per il resto della vita.
A quelle mie parole Rino Tommasi si era schernito un po’ in imbarazzo, aveva mormorato un «grazie, grazie» ed era scivolato via, lasciandomi lì con la sua voce sempre identica e magnetica, capace di rispedirmi indietro nel tempo di trentacinque anni, nel cuore di un glorioso lunedì notte degli anni Ottanta.