Io sono felice. Sii felice
Hai reso la mia vita un vero paradiso per più di tre anni. Non farmi
ora l’ingiustizia di farne un motivo di tristezza. Io sono felice. Sii felice.
Lettera di Lauro De Bosis a Ruth Draper, 7 ottobre 1931
Nel giorno in cui un manager pubblico di nomina governativa, per festeggiare il nuovo incarico, invia ai propri dipendenti un’email che riproduce fedelmente il discorso di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925, con il quale il Duce si assunse la responsabilità politica e morale dell’assassinio di Giacomo Matteotti — in questo stesso giorno ripenso al libro più bello acquistato nel corso dell’ultima edizione di Più libri Più liberi: il volume dell’Orma editore (collana I pacchetti ) dedicato alla figura dell’antifascista monarchico Lauro De Bosis.
Chimico di formazione, ma saggista, poeta e traduttore per vocazione, il 3 ottobre 1931, a bordo di un Klemm L-25 di fabbricazione inglese ribattezzato Pegaso, Lauro De Bosis violò per la prima volta il cielo della Roma fascista, facendo piovere sulla città 400.000 volantini sui quali erano impressi tre testi, firmati Direttorio dell’Alleanza nazionale (l’associazione patriottica clandestina da lui fondata dopo il suo rientro in patria dagli Stati Uniti, insieme all’antifascista Mario Vinciguerra).
Uno dei volantini conteneva un’accorata esortazione ad (re)agire e a scegliere da che parte stare — «gli italiani che soffrono la vergogna d’esser bollati di fronte al mondo come un gregge servile, non sanno se Voi siete con loro o con la guarnigione degli oppressori» — indirizzata da un fedele suddito al suo sovrano, re Vittorio Emanuele III:
Maestà,
tra il re e il popolo v’è un patto sacro: Voi lo giuraste. Quando in nome di quel patto Voi ci chiamaste a difendere la libertà d’Italia ed i principi da Voi giurati, noi prendemmo le armi in sei milioni, e seicentomila morirono al Vostro comando. Oggi, in nome di quegli stessi principi, calpestati come non mai, in nome del Vostro onore di Re, ed in nome dei nostri morti, tocca a noi di rammentarVi quel patto.
Seicentomila cittadini han dato a un Vostro cenno la vita per togliere il giogo da due città: è col Vostro consenso che un giogo infinitamente peggiore grava da anni sull’Italia intera? Accettate Voi veramente d’infrangere dopo Vittorio Veneto quel giuramento cui il Vostro Avo restò fedele dopo Novara?
Son sette anni che Vi vediamo firmare i decreti di Radetzky con la penna di Carlo Alberto. Pure, Voi ci avete guidati alla vittoria e per ventiquattr’anni siete stato il campione della libertà. No; non possiamo dimenticarlo. Noi abbiamo ricevuto dai nostri padri un’Italia libera. Sareste proprio Voi, il re vittorioso, a tramandarla schiava ai nostri figli? Maestà, non vogliamo crederlo.
Molti hanno perso fede nella Monarchia. Non fate che il loro numero cresca. Non fate che il popolo italiano, seguendo l’esempio di quello spagnuolo, Vi giudichi responsabile dell’oppressione. Come può seguitare ad avere fede in Voi se i migliori tra noi vengono puniti per questa fede come se fosse il peggior dei delitti, e ciò vien fatto nel Vostro nome?
Gli italiani che soffrono la vergogna d’esser bollati di fronte al mondo come un gregge servile, non sanno se Voi siete con loro o con la guarnigione degli oppressori.
Maestà, scegliete. Una terza via non esiste. Dal fondo della loro disperazione quaranta milioni d’Italiani Vi guardano.
Un altro volantino, indirizzato questa volta ai cittadini di Roma (e d’Italia), avrebbe invece attirato l’attenzione del neo nominato manager che mi ha offerto lo spunto per questo ricordo, perché è datato a partire non dall’inizio dell’era fascista, com’era già in uso, bensì proprio dall’anno dell’omicidio di Giacomo Matteotti:
Roma, anno VIII dal delitto Matteotti
Cittadini,
voi tenete un altare davanti alla salma dell’ignoto eroe della libertà; ma lasciate ch’essa venga profanata ogni giorno da chi, lì accanto, getta in galera tutti coloro che nella libertà credono ancora. L’Absburgo in camicia nera, rientrato di soppiatto nel suo palazzo, è un oltraggio per tutti i nostri morti. Quella libertà per cui essi dieder la vita, egli la chiama «un cadavere putrefatto» e lo calpesta indisturbato da nove anni.
Seicentomila cittadini si son fatti ammazzare per liberar due città: fino a quando tollererete voi l’uomo che tiene schiava l’Italia intera?
Da nove anni vi si dà a intendere che torna a conto sacrificare libertà e coscienza pur d’avere un governo forte e capace. Dopo nove anni vi accorgete che avete avuto non solo il più tirannico e il più corrotto ma anche il più bancarottiero di tutti i governi. Avete rinunziato alla libertà per vedervi tolto anche il pane!
Accampato tra voi, come una guarnigione straniera, il fascismo oltre a corrompere le vostre anime, distrugge le vostre sostanze: paralizza la vita economica del paese, sprofonda miliardi per preparare la guerra e per tenervi oppressi, lascia ingigantire tutte le spese rimaste senza il vostro controllo ed abbandona il paese alla rapacità dei suoi gerarchi famelici. Mentre esso vanta il suo «prestigio nel mondo», il mondo guarda con orrore un regime che per ridurvi a un gregge di schiavi, deve logicamente schiaffeggiar Toscanini ed esaltar la brutalità dei suoi sgherri.
Cittadini, non vi lasciate intimorire dalle bande che voi stessi pagate né da questo «Radetzky in quarantottesimo»: il secondo Risorgimento trionferà come il primo.
L’Alleanza nazionale ha lanciato il programma d’unione di tutte le forze contro il fascismo. La borbonica ferocia delle condanne vi dimostra quanto quel programma gli faccia paura. Stringetevi in alleanza! Gli spagnuoli han liberato la patria loro: non tradite la vostra!
Infine il terzo volantino, forse il mio preferito perché molto pragmatico, immerso nell’azione: una sorta di decalogo utile a boicottare il regime con gesti concreti, pratici, attuabili da tutti a ogni ora del giorno, per lavorare ai fianchi la dittatura. «Dieci cose che tu puoi fare da solo. Puoi, dunque devi»:
Chiunque tu sia, tu certo imprechi contro il fascismo e ne senti tutta la servile vergogna. Ma anche tu ne sei responsabile con la tua inerzia. Non cercarti un’illusoria giustificazione col dirti che non c’è nulla da fare. Non è vero. Tutti gli uomini di coraggio e d’onore lavorano in silenzio per preparare un’Italia libera. Anche se non vuoi esser dei nostri, vi son sempre dieci cose che tu puoi fare da solo. Puoi, dunque devi.
1. Non assistere a nessuna cerimonia fascista.
2. Non comprare nessun giornale. Son tutte bugie.
3. Non fumare (il fumo rende al fascismo oltre 3 miliardi l’anno, tanto di che pagare tutti i suoi sbirri. Fa contro il nuovo Radetzky quel che fecero i milanesi contro l’antico. E fu il principio delle Cinque giornate).
4. Non far nessun atto né dir nessuna parola che suoni ossequio al regime.
5. Boicotta nei rapporti personali e d’affari i servitori del regime. Sono i tuoi sfruttatori.
6. Boicotta o intralcia con l’ostruzionismo tutte le iniziative fasciste. Anche le migliori servono a ribadirti addosso le catene (Bottai ha dichiarato: «Lo Stato corporativo è il miglior strumento di polizia che abbiamo trovato finora!»).
7. Non accettare nulla dal fascismo. Qualsiasi cosa ti dia è il prezzo della tua prostituzione.
8. Diffondi le circolari dell’Alleanza. Diffondi ogni notizia vera che puoi ghermire. La verità è sempre antifascista.
9. Forma una catena di amici fidati su cui contare per ogni evenienza.
10. Abbi fede nell’Italia e nella Libertà. Il disfattismo degli italiani è la vera base del regime fascista. Comunica agli altri la tua fede ed il tuo fervore. Siamo in pieno Risorgimento. I nuovi oppressori son più corruttori e più selvaggi di quelli antichi, ma cadranno egualmente. Essi non sono uniti che da una complicità e noi dalla volontà d’esser liberi. Gli spagnuoli han liberato la patria loro. Non disperar della tua.
Nella notte tra il 2 e il 3 ottobre 1931, alla vigilia del suo decollo dall’aeroporto di Marsiglia, De Bosis scrisse (in francese) il suo testamento spirituale e politico, intitolato Histoire de ma mort (Storia della mia morte), che nelle settimane successive alla sua impresa avrebbe trovato ampia eco nella stampa internazionale — dapprima in Belgio, pubblicato dal quotidiano Le Soir, e poi negli Stati Uniti (The New York Times), in Inghilterra (Sunday Times), Francia (Europe) e addirittura in Germania (Münchener Post).
L’opera (scaricabile gratuitamente qui nell’edizione curata da Alessandro Cortese De Bosis, nipote di Lauro, protagonista di una bella puntata dedicata allo zio da Rai Storia, in occasione del novantesimo anniversario del suo volo) inizia con queste parole:
Domani alle tre, su un prato della Costa azzurra, ho un appuntamento con Pegaso. Pegaso – è il nome del mio aeroplano – ha la groppa rossa e le ali bianche; benché abbia la forza di ottanta cavalli, è svelto come una rondine. S’abbevera di benzina e si avventa nei cieli come il suo fratello di un tempo, ma di notte, se vuole, sa scivolare nell’aria come un fantasma. L’ho trovato nella foresta Ercinia, e il suo ex-padrone me lo porterà sulle rive del Mar Tirreno credendo in buona fede che abbia da servire agli svaghi di un giovane signore britannico. La mia cattiva pronuncia non gli ha destato sospetti: gli chiedo qui scusa dell’inganno. Ma non andremo a caccia di chimere. Andremo a portare un messaggio di libertà a un popolo schiavo di là dal mare.
De Bosis non ritornò mai da quella spedizione perché il suo Pegaso, forse diretto a Barcellona, si inabissò in qualche punto del Tirreno e non fu mai più ritrovato. Cosa che il poeta aviatore probabilmente presagiva, come lasciano intendere il titolo del suo testamento spirituale e una bellissima lettera indirizzata a Ruth Draper, celebre attrice di teatro americana, compagna di Lauro dal 1928 e suo «punto di riferimento imprescindibile».
Di questa lettera, e di altre scritte da De Bosis negli anni precedenti la sua impresa e indirizzate a vari destinatari — tra cui Benedetto Croce (alle cui lezioni oxfordiane, coincidenza tra le coincidenze, sto lavorando proprio in questi giorni in vista della loro prossima pubblicazione), Giuseppe Prezzolini, Gaetano Salvemini e Giorgio La Piana —, In volo su Roma riproduce la versione integrale. Qui ci limitiamo a riprodurne l’incipit, commovente e rinfrancante come l’intera breve vita del suo straordinario autore:
Sii felice per me! Non soltanto orgogliosa, ma felice: volevi che assumessi un ruolo nella vita del mio paese. Posso assicurarti che nemmeno in cinquant’anni di lavoro e di successi avrei potuto assumere un ruolo simile. Aspetta e vedrai! Non immediatamente, ma diventerò un simbolo e otterrò in questo modo cento volte di più che se fossi in vita… non avrei potuto desiderare una soluzione migliore per la mia aspirazione a servire il mio paese e i miei ideali. Se fossi tornato indietro vivo, sarebbe stato soltanto un beau geste. In questo modo è molto di più.