In cerca della porta della vita e del suo guardiano


Hassan, amico mio, tu vieni accusato, ingiustamente, di essere un maestro nel fare affiorare la bruttezza e nello scavare sempre più a fondo. Nulla di più sbagliato! In letteratura, infatti, o meglio, in tutti i campi della vita, gli ossimori sono indispensabili, e noi non potremmo comprendere e goderci la bellezza se non conoscessimo il suo contrario. E persino la bruttezza, in te, Hassan, è diversa, trasuda umanità, e questa è la cosa che ti invidio.



In questi giorni mi pare di aver letto uno dei più bei romanzi dell’anno.
Si intitola Allah 99, lo ha scritto Hassan Blasim, lo ha pubblicato Utopia nella traduzione di Barbara Teresi e me lo ha consigliato Roberta.
Ne riporto un breve estratto che mi ha fatto ridere e commuovere, come un po’ tutto il libro.



[Ho camminato da via Abu Nuwas a Karrada, dove si trova il laboratorio per facce sfigurate. Procedevo lento, contemplando la gente, gli alberi e il tempo che passa. Abu Nuwas è stato soprannominato il poeta del vino. È tra i più celebri poeti della cosiddetta epoca d’oro di Baghdad, durante il califfato abbaside. Nacque nel 762 d.C. ad Ahvaz da padre arabo di Damasco e madre persiana. Circa il luogo di morte del sommo poeta, invece, esistono versioni discordanti. C’è chi sostiene che sia morto in prigione, altri dicono che sia stato avvelenato per mettere a tacere la sua lingua irriverente.
Proprio nel cuore di via Abu Nuwas, nel centro di Baghdad, ho trovato la mia strada verso l’alcol e le case chiuse. In compagnia di buoni amici bighellonavo nella via del poeta del vino che allora, prima che gli americani ci liberassero dal dittatore e ci consegnassero ai partiti islamisti, pullulava di bar e di ristoranti in cui si grigliava il pesce fresco. A quei tempi ero uno studente squattrinato. A volte racimolavo qualche soldo scrivendo tesi di laurea per studenti scansafatiche. Soldi che mi bastavano appena per coprire le spese per qualche giorno di sigarette, alcol e sesso.
Una volta ero ubriaco e al verde, e mi trovavo vicino a una casa chiusa che avevo già frequentato. Il bordello era gestito da una maîtresse sulla quarantina, una donna corpulenta, intelligente e severa. C’erano cinque donne che servivano sesso al gusto di aglio e cipolla. Erano tutte e cinque grasse, flaccide e triviali, e puzzavano di cipolla e aglio a qualunque ora del giorno. In quel postribolo l’unica creatura aggraziata e che profumava di rose era Nida’. Il buttafuori era un uomo enorme, con folti baffi, che non scherzava mai e non aveva mai sorriso a un cliente. Svolgeva il proprio compito in modo serio e rigoroso, quasi fosse il guardiano della porta dell’inferno. Quel giorno il mio cazzo mi ha guidato all’avventura. Sono andato alla casa di appuntamenti e ho avanzato una proposta al buttafuori:
«Io non ho un soldo e voglio scopare. Che ne dici se lavoro al posto tuo per tutta la notte e in cambio tu mi procuri fica gratis da lì dentro?».
Una lama assassina riluceva negli occhi del guardiano, che mi scrutava in viso con odio e rabbia. Se fossi stato sobrio, me la sarei svignata immediatamente vedendo la sua espressione torva e minacciosa. Ma l’alcol mi aveva dato alla testa. Ho aperto bocca e detto un’altra scemenza:
«Riflettici pure tranquillamente! Io posso aspettare la risposta…».
Con gesto fulmineo, il buttafuori mi ha girato intorno al collo il suo braccio d’acciaio e mi ha gettato a terra. Mi è salito addosso e mi ha ammanettato, poi mi ha preso per il bavero e mi ha scaraventato sotto un arancio nel giardino davanti al bordello. Ha preso dal filo della biancheria un paio di mutande da donna e mi ha imbavagliato con quelle. Dopodiché è tornato alla sua porta. Un quarto d’ora dopo, stordito dal profumo delle arance e intorpidito dal clima piacevole, mi sono addormentato sul posto. Al mattino mi sono accorto che qualcuno mi aveva steso addosso una coperta con una tigre disegnata sopra. È arrivata la maîtresse, mi ha slegato e mi ha tirato via dalla bocca le mutande. Porgendomi una bottiglia d’acqua fresca, ha detto:
«Entra in casa, Nida’ ti sta aspettando!».
Sapeva che ero uno dei suoi clienti squattrinati, ma di quelli pacifici. Mi ha consigliato di non azzardarmi mai più a parlare con il buttafuori. Sono andato in bagno a fare pipì e poi in camera di Nida’. Ho fatto colazione con i suoi occhi, la sua fica e il profumo di fiori. Mentre uscivo ho raccolto un’arancia in giardino e il guardiano mi ha lanciato un’occhiata eloquente che stava a significare «sparisci immediatamente da qui, sarà meglio per te». Camminando ho sbucciato l’arancia e l’ho mangiata, assaporandone il succo, estasiato per aver bevuto alla fonte del corpo di Nida’. Ho camminato e camminato. Senza meta. Stordito. In cerca della porta della vita e del suo guardiano].

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