Fine agosto 1994 — Il giorno della conoscenza
Brani tratti dal romanzo di Andrea Tarabbia, Il demone a Beslan, Bollati Boringhieri 2021, pp. 76-77 e 79.
Immagini tratte dal saggio fotografico di Diana Markosian School No. 1.
Si era alla fine di agosto, non saprei con precisione il giorno. Raggiungere Beslan dalle montagne richiede un viaggio di circa tre giorni, tra sentieri, strade che possono essere minate, posti di blocco e frontiere. Noi avremmo dovuto essere a Beslan, in quella scuola, alle nove del mattino del primo settembre, giorno dell’inaugurazione dell’anno scolastico in Ossezia come in tutte le russie e i satelliti dell’impero. Den’ znanja, dite voi con la vostra prosopopea: il Giorno della conoscenza, una specie di festa nazionale.
Le scuole si riempiono di gente, alunni, professori, presidi in alta uniforme con la fascia trasversale e il fiore all’occhiello, madri, padri, fratelli, sorelle, spesso — se per lo studente è il primo giorno di scuola in assoluto — zie, cugini, nonni. Il numero di persone che normalmente transitano per i corridoi raddoppia, triplica addirittura. Durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico il preside fa un discorso di benvenuto mentre tutti si tengono per mano e fremono, e qualche bimbo piange perché è spaventato dalle voci, dalla musica dell’inno nazionale che viene sparato fuori dagli altoparlanti. I professori si presentano alle classi e mostrano le strutture della scuola.
Su tutto regna un senso di cerimonia e iniziazione che non ho mai sopportato, ma a cui ho sempre preso parte come se non ci fossero alternative. Tutti palpitano, tutti si sentono al cospetto di qualcosa di comune e di grande.
Secondo la tradizione, guardia — l’ho fatto io e l’hai fatto anche tu —, i bambini del primo anno portano un fiore, che regalano ai ragazzi e alle ragazze che entrano nell’ultimo anno; poi i grandi prendono per mano i più piccoli e li accompagnano fino alla porta dell’aula: è anche per questo che si chiama Giorno della conoscenza.
La Scuola n. 1 era piena di fiori, guardia: ne trovammo ovunque, e il loro odore ci tenne compagnia per tutto il tempo, mischiato all’odore del sangue, del sudore, degli escrementi e della polvere da sparo. In mezzo a tutta quella morte e quella puzza io mi ricordo i fiori.
Noi siamo piombati come un’aquila sul corpo immobile e in festa di quella scuola alla periferia del Caucaso e del mondo. Abbiamo scelto il Giorno della conoscenza perché è una giornata di festa, perché avremmo trovato più gente, e perché l’eco delle nostre azioni rimbombasse da un capo all’altro del mondo. L’abbiamo scelto perché è il Giorno della conoscenza.
Nella palestra sono morte 334 persone, di cui 186 bambini e adolescenti. Non tutte le vittime sono a carico nostro, e anzi, la maggior parte sono state provocate da un’azione ignobile (ignobile per qualsiasi tipo di legge) promossa dall’impero nel primo pomeriggio del terzo giorno.
All’inizio eravamo 32, tra cui una donna che non ha fatto direttamente del male a nessuno. Ci vengono attribuiti 334 morti, vale a dire circa 11 a testa. Io non so quante persone ho ucciso nella mia vita, e non so quante ne ho uccise a Beslan. Credo che nel complesso siano ben più di 11, eppure vengo giudicato per queste 11.
Come ho detto, il male si può quantificare.