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Kafka, i primi anni

Che aspetto avesse il piccolo Franz, questo lo sappiamo: neanche a lui è stato risparmiato il dovere di ogni bambino della borghesia di farsi ritrarre, una volta all’anno, da un fotografo professionista nelle prime fasi della crescita. Le scenografie standard venivano disposte accuratamente e fissate per l’ampia parentela: su una sedia con le gambette nude (un anno); in piedi su una scala, con un vestitino un po’ femmineo tipico dell’epoca (due anni); in un ruvido vestito da marinaio, con bastone, cappello e palme di contorno (quattro anni); con calze spesse, stivaletti brillanti e una pecora finta a grandezza naturale (cinque anni). Le foto sono commoventi soprattutto se viste in serie, perché fissano la progressiva e irreversibile perdita di spontaneità: le pose sono sempre più controllate, il bambino si adatta sempre di più.


A sinistra: Kafka a cinque anni. A destra: Kafka attorno ai dieci anni, con le sorelle Valli (a sinistra) e Elli.

Forse, a ben guardare, cresce anche la paura? Forse in questa o in quella fotografia ha già dietro di sé l’esperienza sulla Pawlatsche? I ritratti storici di bambini ci tentano alla proiezione retrospettiva di ciò che oggi sappiamo, e non è facile resistere all’idea che anche una frazione di secondo causale, e addirittura predisposta, possa rivelare qualcosa di significativo. Questo perché ciò che possediamo è solo quel preciso momento, mentre tutto il resto dell’asse temporale rimane completamente all’oscuro: non sappiamo che sguardo avesse in braccio a sua madre, presso la culla del fratello, durante i gioviali incoraggiamenti di suo padre o quando giocava svagato senza che nessuno lo guardasse. Neppure lo stesso Kafka divenuto adulto lo sapeva, e così neppure lui – che poteva sprofondare per minuti interi nella contemplazione di un ritratto – era immune alla tentazione di derivare una qualche prova autobiografica dalle preziose testimonianze sensibili del proprio passato: «… la faccia cattiva la facevo per scherzo» scriverà a Felice Bauer sulla foto in cui, a due anni, guardava nell’obiettivo con sguardo ostile, «ora però mi sembra che esprima una segreta serietà».
Simili proiezioni sul buio ci sono familiari anche nei casi in cui non ci sia pervenuta alcuna testimonianza visiva. Frasi pronunciate da bambino (specialmente quelle un po’ «saccenti»), aneddoti, ricordi di terza o quarta mano possono prenderne il posto e dare l’impressione di un’esperienza diretta, tanto più carica di significato quanto più esiguo è il materiale. Ma proprio come solo i ritratti più «riusciti» vengono di solito conservati e tramandati, così anche nella memoria dei testimoni dell’epoca rimane solo ciò che a loro sembra (consciamente o inconsciamente) significativo. Si reprime ciò che è inopportuno, incomprensibile o troppo volgare, mentre ciò che sembra più caratteristico viene abbellito, passato al filtro e immerso in una piacevole luce crepuscolare. Solo con l’apparire dei documenti scritti comincia il mondo dei fatti, e se il caso aiuta, le primissime frasi scritte da un uomo possono restituirci qualcosa di ciò che invano abbiamo tentato di decifrare dal volto di un bambino.
Un caso del genere, fortunato ma in un certo senso anche spettrale, si è di fatto verificato nella vita di Kafka. Perché di tutte le pagine che da bambino e da adolescente deve aver scritto (fra cui i quaderni scolastici) si è conservata solo un’unica, ma significativa, frase, scritta a quattordici anni nell’album di poesie di un amico. Sembrerebbe impensabile che già allora Kafka avesse chiara alla coscienza l’ipotesi psicologica derivatagli da un mondo infantile incerto e punteggiato da continue separazioni. Eppure le parole che ha scelto si fondano, quasi con sobrietà, proprio su questo concetto, parole che non avrebbe potuto scegliere meglio se avesse dovuto scrivere il motto della sua prima gioventù. E proprio queste sono sopravvissute:

C’è un venire e un andare,
un separarsi, e spesso – un non vedersi mai più.
Praga, 20 novembre
Franz Kafka


Frase scritta da Kafka sullalbum di poesie dellamico Hugo Bergmann, 1897.

Reiner Stach, Kafka. I primi anni, ed. it. a cura di Mauro Nervi, il Saggiatore, 2024, pp. 122-124

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