Quattro re
La maggioranza degli appassionati di pugilato non spenderebbe un centesimo per vedere Van Gogh dipingere i Girasoli,
mentre riempirebbe lo Yankee Stadium per vederlo tagliarsi l’orecchio.
Bill Nack, «Sport Illustrated»
Ciascuno dei circa novanta giorni che ho dedicato alla lavorazione di Quattro re — il bellissimo libro di George Kimball che racconta l’ultima epoca d’oro della boxe, in uscita nei prossimi giorni per 66thand2nd nella traduzione di Lorenza Vetta — è iniziato sempre con lo stesso ricordo: io che dormo come un sasso nel letto della mia stanza di adolescente; una mano, quella di mio padre, che nel cuore della notta mi scuote nel tentativo di svegliarmi; io che apro gli occhi senza capire dove sono né perché mi stanno svegliando e una voce che dice: «dài, che sta cominciando»; io che allora capisco, mi tiro sul dal letto e seguo la silhouette che mi precede lungo il corridoio verso il salotto, dove il televisore già acceso rimanda l’inconfondibile voce di Rino Tommasi.
È la notte tra il 15 e il 16 aprile 1985, tra una domenica appena trascorsa e un lunedì di scuola di cui già percepisco il carico di minaccia. Nonostante questo, tuttavia, la sera prima ho strappato ai miei il permesso di assistere in diretta a un incontro di pugilato che avrei ricordato per tutta la vita.
Quello tra «il Meraviglioso» e «il Cobra» è solamente uno dei novi match narrati da George Kimball.
Il brano che segue è tratto dal capitolo 7, intitolato «The Fight», e tra i motivi per cui l’ho scelto, oltre a quel ricordo, c’è anche una foto.
Caesars Palace, 15 aprile 1985
Quasi un quarto di secolo dopo, l’incontro del 1985 tra Hagler e Hearns rimane uno dei momenti pugilistici più alti della seconda metà del Ventesimo secolo. Gli esperti lo hanno definito il più grande match breve nella storia della boxe. Il suo brutale primo round, che a oggi resta una pietra di paragone per valutare gli altri, è stato senza dubbio il più elettrizzante nella storia dei medi, e una delle due o tre migliori riprese iniziali di sempre, a prescindere dalla categoria di peso.
In un’epoca in cui era già diventato obbligatorio vendere ogni incontro di cartello, e non solo, con uno slogan a effetto, Arum battezzò la sfida tra Marvelous Marvin Hagler e Thomas The Hitman Hearns semplicemente The Fight. Gli eventi dimostrarono che ci aveva visto lungo. In effetti, fu «il Match».
Superata da poco la metà del terzo round, Hagler, sempre a caccia dell’avversario, lo colse fuori equilibrio con un diretto destro alla testa. Hearns, stordito, arretrò per il ring con passi balbettanti, fermandosi solo quando ritenne di trovarsi fuori pericolo. Mentre cominciava a voltare il capo, con le tracce di uno di quei brevi sorrisetti ehi-non-mi-hai-fatto-niente! che cominciavano a formarsi sulle sue labbra, si rese conto che il rivale non lo aveva mollato di un centimetro e gli era di nuovo addosso.
Hagler mandò a segnò due destri devastanti, intervallati da un sinistro andato a vuoto principalmente perché Hearns aveva già cominciato a cadere. Il primo dei due aveva dato il via al viaggio di Hearns verso le corde, il secondo si era assicurato che avesse difficoltà a rialzarsi.
Hearns atterrò sul tappeto di schiena, con gli occhi rivolti al cielo del deserto. Lì per lì sembrava che non si sarebbe proprio rialzato, ma alla fine riuscì a rimettersi in piedi prima che l’arbitro finisse il conteggio. A Steele bastò dare uno sguardo all’espressione smarrita sul suo volto per interrompere il match. Mentre teneva lo sconfitto tra le braccia, Steele capì che se il Sicario era ancora in posizione eretta lo doveva a lui, così lo posò con delicatezza di nuovo al tappeto, dove rimase ancora un minuto o due.
Mentre Hagler festeggiava in giro per il ring, Qb Hines, il gigante gentile della Kronk, si chinò su Hearns per tirarlo su e, come un neonato, lo trasportò fino all’altro estremo del ring. La fotografia di Qb, con indosso un’assurda giacca da smoking, un fiore all’occhiello rosso sul bavero e Tommy tra le braccia, il giorno dopo comparve sui giornali di tutto il mondo. […]
A distanza di anni, Emanuel Steward avrebbe dichiarato che Hearns per cinque minuti su otto aveva combattuto solo grazie al coraggio. «Dopo il primo round» disse Steward «la sua mano era rotta e le gambe andate. Ma quella sera Tommy mi disse di non fare alcun cenno alla mano. Disse che non voleva oscurare la vittoria di Hagler. Ecco che tipo di persona era Tommy. Così la fasciammo stretta e ci mettemmo sopra del ghiaccio. Quella notte Tommy non andò nemmeno in ospedale, perché altrimenti la notizia sarebbe venuta fuori. Gli demmo qualche pillola di antidolorifico, ma non vide nessun medico fino a Detroit».
George Kimball, Quattro re. Leonard, Hagler, Hearns, Durán e l’ultima grande era della boxe, trad. it. Lorenzo Vetta, 66thand2nd 2024