James Montague – Fra gli ultras
Viaggio nel tifo estremo
«Non vedevo niente del campo, ma sentivo la partita, e la folla intorno a me. Quel senso di appartenenza a qualcosa di più grande, il rumore in cui potresti perderti e l’emozione derivata dalla consapevolezza che qualcosa di pericoloso potrebbe succedere in qualsiasi momento. In parte riesco a sentire tutto ciò ancora oggi. O, perlomeno, riesco a evocarne il ricordo. Per questo la parola «tifo» ha un’eco così profonda. Racconta qualcosa su cui non c’è scelta. Una volta infetto, non esiste cura».
Dai barras bravas argentini agli Irriducibili di Diabolik, dai Delije serbi della Tigre Arkan ai Rodychi ucraini protagonisti di Euromaidan, fino alle neonate curve del soccer statunitense, la domanda è soltanto una: cosa significa essere ultras oggi? Le risposte invece sono tante, ma racchiuse da una cornice condivisa: perché ovunque, chi «guarda la partita con le spalle rivolte al campo» combatte il conformismo dilagante, la repressione sempre più feroce dell’autorità, l’ipocrisia dei media e la commercializzazione del prodotto calcio pensata per un pubblico di consumatori-zombie derubati del fuoco della passione.
«Hai presente gli Smiths? Il cantante, Morrissey? Ecco, una volta Morrissey disse che gli hooligan erano i patrioti delle loro città. È un po’ diverso, ok, ma posso dire che gli ultras sono i patrioti delle loro città».