Roth e gli scrittori dell’Altra Europa
Tra le pagine più belle di Philip Roth. La biografia (Einaudi 2022, traduzione di Norman Gobetti), un posto lo meritano senz’altro quelle in cui l’autore Blake Baily narra il ruolo che Roth ebbe nella nascita, alla metà degli anni Settanta, di «Writers from Other Europe», collana di tascabili della Penguin dedicata alla narrativa dell’Europa orientale e centrale che fece conoscere ai lettori d’oltreoceano autori come, tra gli altri, Bruno Shultz, Milan Kundera, Tadeusz Borowski e Danilo Kíš:
Durante una sosta a Londra di ritorno da un altro viaggio a Praga nel 1974, Roth incontrò una redattrice della Penguin, Kay Webb, e le sottopose un’idea per una collana di tascabili di narrativa dell’Europa orientale e centrale, «Writers from the Other Europe». Come spiegò a Webb, si sarebbe trattato di pubblicare le opere, vietate nel paese di origine, di autori che si trovavano in costante pericolo di essere arrestati o addirittura uccisi; quando Isaak Babel’ e Osip Mandel’štam erano stati assassinati, in Occidente quasi nessuno se n’era accorto, e forse sarebbe andata diversamente se le loro opere avessero ricevuto l’attenzione che meritavano — il genere di fama che, ad esempio, aveva protetto Solženicyn. Webb mise Roth in contatto col suo corrispettivo alla Penguin di New York, e tutti concordarono sul fatto che un presupposto essenziale fosse che i libri scelti per la collana fossero già stati pubblicati in inglese — in modo che Roth potesse prima leggerli, e che la Penguin non dovesse sostenere delle spese per la traduzione. Nella maggior parte dei casi, le prime edizioni erano passate quasi del tutto inosservate, ma Roth sperava di rimediare usando la sua influenza per promuovere i libri e commissionare nuove introduzioni a scrittori celebri come Iosif Brodskij, Czeslaw Milosz e Updike. L’estate successiva erano pronti per la pubblicazione i primi due volumi della collana, Le cavie di Vaculík e Amori ridicoli di Kundera, quest’ultimo con un’introduzione di Roth che spiegava perché quei racconti sul «mondo privato delle opportunità erotiche» avessero creato all’autore dei problemi col regime: «Dopotutto nel suo paese la modalità artistica approvata è il “realismo socialista”, e quando ne ho chiesta una definizione a un critico di Praga, lui mi ha risposto che “il realismo socialista consiste nello scrivere degli elogi al governo e al partito in modo tale che persino loro possano capirli”››. Nella collana sarebbero apparsi altri tre libri di Kundera, finché il suo non divenne un nome familiare ai lettori colti di lingua inglese.
Dopo un po’ Roth decise di includere anche opere di scrittori già morti, soprattutto perché aveva scoperto due polacchi, Bruno Schulz e Tadeusz Borowski, ancora quasi del tutto sconosciuti in Occidente. La donna che gli aveva fatto conoscere le loro opere — e anche quelle di diversi altri scrittori polacchi — era Joanna Rostropowicz Clark, che nel 1971 era emigrata da Varsavia e aveva sposato il direttore di «The Nation», Blair Clark, che Roth conosceva dai tempi di Martha’s Vineyard. La incontrò per la prima volta nell’ottobre del 1975 a una cena a casa dei Clark a Princeton; la tempestò di domande sui suoi scrittori preferiti, e lei lo spinse a procurarsi un’ottima traduzione del 1963 di Le botteghe color cannella di Schulz.
«Che libro», scrisse Roth a un amico, descrivendo Schulz come «uno scrittore balzano dell’ordine di, sì, Kafka, però balzano, nel suo rapporto col padre ebreo in un suo sinistro modo polacco»*. In effetti la figura del padre ricorre in quasi tutti gli onirici racconti di Schulz — un cui tipico esempio, Il Sanatorio all’insegna della Clessidra, Roth avrebbe fatto pubblicare sul numero del «New Yorker» del 14 dicembre 1977, nell’imminenza della comparsa nella «Other Europe» della raccolta dallo stesso titolo (il secondo libro di Schulz uscito in quella collana). L’anno prima, Roth era stato all’origine di quello che sarebbe diventato un boom («un piccolo boom») mondiale dl Schulz intervistando Isaac Bashevis Singer, «l’unico scrittore in America oltre a me,» diceva, «che lo abbia mai sentito nominare». L’intervista comparve nello stesso numero della «New York Times Book Review» (13 febbraio 1977) della trionfale recensione delle Botteghe color cannella scritta (su sollecitazione di Roth) da Cynthia Ozick. Per ringraziarla lui le spedì un autoritratto di Schulz, che lei avrebbe poi usato per il frontespizio del suo romanzo del 1987 sullo scrittore polacco, Il messia di Stoccolma, dedicato a Roth.
Un altro capolavoro raccomandato da Joanna Clark fu Prego, signori, al gas di Borowski, un sopravvissuto di Auschwitz poi suicidatosi all’età di ventinove anni. Insieme a scrittori come Céline, Genet e Witold Gombrowicz (un’altra scoperta dovuta a Clark), Borowski diede a Roth l’ispirazione di dare il proprio nome al personaggio di un’opera di finzione che si comporta in modo riprovevole — come ad esempio l’adultero di Inganno. «Borowski››, il narratore di Prego, signori, al gas, spiega come si faceva a sopravvivere nei campi di sterminio: «Raccontate una buona volta come vi siete acquistati un posto in ospedale o in un buon kommando, come avete sospinto al camino i musulmani [i prigionieri che avevano perso la volontà di vivere], come comperavate uomini e donne, cosa facevate negli Unterkunft, nei Canada, nei Krankenbau, nel campo zingari. [. . .] Ma scrivete che proprio voi lo facevate. Che una particella della lugubre fama di Auschwitz la si deve anche a voi». Il libro di Borowski, in seguito quasi del tutto dimenticato, avrebbe venduto più di qualunque altro titolo della collana eccetto quelli di Kundera.
Roth si affezionò molto alla sua mentore in letteratura polacca, e quando, nell’estate del 1978, Blair Clark, la lasciò a causa del suo alcolismo, la invitò a stare da lui in Connecticut per aiutarla a smettere di bere. Ogni giorno i due si incontravano per colazione prima che Roth si ritirasse nel suo studio per lavorare allo Scrittore fantasma, poi, prima di cena, si concedevano un bicchiere di vodka a testa dall’unica bottiglia di alcolici che lui teneva in casa. Un giorno Clark non riuscì a trattenersi e passò la mattinata a scolarsi la mezza bottiglia di vodka rimasta; quando Roth la raggiunse per pranzo, lei lo abbracciò e gli diede un bacione sulla guancia. «Joanna,» disse lui, «sei ubriaca». «Sì», rispose lei con un sospiro («E quella fu la fine di qualunque eventuale prospettiva sessuale»). Per farle un piacere – e forse anche per metterla di fronte a una persona che le servisse da ammonimento – Roth organizzò una cena con lo scrittore Romain Gary e la sua ex moglie alcolizzata, l’attrice Jean Seberg, che si trovavano dagli Styron mentre il figlio era a un campo estivo di tennis nella vicina Kent. Da bambino, a Varsavia, Gary aveva frequentato una scuola sperimentale dove si dava il caso insegnassero le zie di Clark, e così i due si misero a chiacchierare allegramente in polacco mentre Roth li osservava soddisfatto in silenzio e Seberg beveva. (Si sarebbe uccisa un anno dopo a Parigi, e Gary si sarebbe sparato l’anno dopo ancora.)
«Nella sua [di Roth] visione da bravo ragazzo ebreo,» diceva Clark, «il motivo per cui bevevo era che avevo troppo poco da fare». Per tenere occupata una mente così fuori dall’ordinario, Roth la fece ammettere alla specialistica alla Penn, dove seguì un corso di letteratura latinoamericana tenuto dal suo amico Carlos Fuentes. Una sera, dopo aver fatto lezione, Roth andò in treno a Princeton a cenare con Clark, che quando venne a prenderlo alla stazione era già sbronza. L’ultima cosa che ricordava era che Roth era salito sulla sua macchina con Fuentes, che aveva preso lo stesso treno e aveva bisogno di un passaggio fino a casa. «In quel momento diventa tutto nero,» ricordava (o meglio non ricordava). «Il nastro si ferma. Esco, siamo già a casa mia, io e Philip, lui mi prepara un caffè. […] E mi dice: “Joanna, questo è stato il viaggio in macchina peggiore della mia vita!” […] E io dico: “Philip, hai visto che ero ubriaca. Perché non mi hai bloccata?” […] E lui: “Joanna, non volevo farti fare brutta figura con Carlos”». Qualche anno dopo Clark smise di bere e cominciò a frequentare gli Alcolisti Anonimi, e ogni tanto Roth, che stava facendo ricerca per Il teatro di Sabbath, la accompagnava ai loro incontri.
Quanto a «Writers from the Other Europe», la collana fu chiusa nel 1989 — dopo quindici anni e diciassette volumi —, in concomitanza col crollo dell’Unione Sovietica e del comunismo in Europa. Uno dei principali traduttori di Kundera in inglese, Michael Henry Heim, avrebbe osservato con una punta di malizia che spesso in copertina il nome di Roth era scritto più in grande di quello dell’autore del libro: «Ma forse non era una cosa negativa, perché la gente si fidava del suo nome, e ciò li spingeva a fidarsi anche di quei nomi stranieri che non riusciva a pronunciare, […] nomi come Kundera e Schulz, Tadeusz Borowski e Danilo Kíš».
* Roth era stato colpito soprattutto dalla storia della morte di Schulz. Durante l’occupazione nazista della sua nativa Drohobyč, nel 1942, Schulz era stato protetto da un ufficiale della Gestapo di nome Felix Landau, che ammirava i suoi inconsueti dipinti; un giorno, poco dopo aver completato un affresco nella casa di Landau, Schulz fu ucciso a colpi di arma da fuoco da un altro nazista, Karl Günther, il cui «ebreo personale» era stato ucciso da Landau. «Lui ha sparato al mio ebreo, e allora io ho sparato al suo», si racconta avesse detto Günther per giustificarsi, una battuta che Roth avrebbe utilizzato nel raccontare la morte del padre di Siskovsky nell’Orgia di Praga.