Tre cose divertenti, una crudele e un’altra triste…
…che ho imparato sulla comunicazione animale lavorando a Senti chi parla. Cosa si dicono gli animali, il bellissimo libro di Francesca Buoninconti illustrato dalle tavole di Federico Gemma e in uscita in questi giorni per Codice edizioni.
Iniziamo dalle cose divertenti.
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L’uccello più rumoroso del mondo
È il campanaro bianco (Procnias albus), un uccello brasiliano che vive nel folto della foresta amazzonica capace di produrre il canto più forte e potente del pianeta: «Un unico “bonk” metallico di inaudita potenza, che raggiunge i 125 decibel». L’autrice lo paragona al fracasso prodotto dal motore di un aereo a reazione che decolla a circa 50 metri di distanza da chi ascolta. O a «due barre di acciaio che sbattono tra loro».
A me, invece, il bonk del campanaro bianco ricorda gli Einstürzende Neubauten.
Le bombe sonore del gambero pistola e del gambero Pink Floyd
Ebbene sì, esistono dei gamberi che si chiamano Pink Floyd.
Sono grandi poco meno di 5 centimetri, ma con una delle loro chele, solitamente la destra (molto più grande della sinistra), «sono capaci di produrre un flusso d’acqua che viaggia a una velocità di 114 km/h, all’interno del quale per un processo di cavitazione si forma una minuscola bolla di vapore rovente che, implodendo, produce il caratteristico suono a un volume di 210 decibel».
Un’onda d’urto devastante, insomma, che a me non ha fatto venire in mente i Pink Floyd, ma un altro gruppo, i Mogwai. E in particolare quella volta, era il 18 luglio 2009, che li vidi alla cavea dell’Auditorium di Roma quando, circa a metà di Christmas Steps, i quattro scozzesi produssero una bomba sonora capace di schiacciarmi la cassa toracica.
Per me questi sono i gamberi Mogwai.
Le coccinelle Sauvignon
Nonostante viva a due passi dal Collio, rinomata zona di vini bianchi, non sono mai riuscito a bere il Sauvignon per colpa di quell’afrore da pipì di gatto che lo caratterizza.
Ora vengo a sapere che le coccinelle arlecchino (originarie dell’Asia ma ormai diffuse in tutto il mondo, Italia compresa) «intorno a ottobre-novembre, ai primi freddi, si ammassano a decine o centinaia ovunque trovino un rifugio caldo per trascorrere l’inverno, compresi anfratti delle finestre e remoti angoli di casa. Il motivo è chiaro: avere più chance di sopravvivere all’inverno, combattere il freddo e diluire le probabilità di essere predati».
Ok, ma cosa c’entrano le coccinelle con il Sauvignon? Presto detto. «A farla da padrona nella loro comunicazione chimica» spiega l’autrice «è la pirazina, un composto organico aromatico contenente azoto: come arma difensiva queste coccinelle producono altissime concentrazioni di isopropil-metossi-pirazina, che rilasciano in una gocciolina gialla che può macchiare indelebilmente tessuti o pareti e provocare perfino reazioni allergiche nell’uomo. Per intenderci, l’isopropil-metossi-pirazina non è che sia una sostanza particolarmente nociva: è una delle due metossi-pirazine che dà ai vini Sauvignon pregiati quel tipico odore di “pipì di gatto”».
E a quanto pare, sono proprio queste gocce di pirazina la traccia olfattiva seguita dalle coccinelle arlecchino per svernare insieme.
La cosa crudele, invece, è questa.
E da quando l’ho letta per la prima volta ne sono rimasto un po’ ossessionato.
Il pronto soccorso delle formiche Matabele
Dalle due alle quattro volte al giorno, le formiche Matabele (Megaponera analis), originarie dell’Africa subsahariana, partono dal loro formicaio disposte in file che contano dai 200 ai 600 individui, raggiungono i siti delle termiti operaie e le attaccano senza pietà, ingaggiando furibonde battaglie con le termiti soldato, grosse quasi quanto loro e dotate di enormi mascelle che utilizzano per amputare zampe e antenne alle nemiche.
«A seguito di ogni scontro,» racconta l’autrice «le formiche Matabele rimaste ferite sul campo di battaglia chiamano le loro compagne per essere portate in salvo. Dalla loro ghiandola mandibolare emettono un feromone, composto da dimetil-disolfuro e dimetil-trisolfuro, che attira l’attenzione delle compagne: queste si avvicinano alle operaie ferite, le ispezionano, le sollevano e le riportano al formicaio dove saranno curate».
Un vero e proprio servizio di pronto soccorso, quindi, che però, contrariamente a quello che accadrebbe in un sistema sanitario pubblico, non è destinato a chiunque ne abbia bisogno: le formiche ferite gravemente, a cui le termiti hanno amputato più di tre zampe, vengono lasciate lì perché non riuscirebbero più a camminare, sono spacciate, mentre le altre sono portate in salvo. Loro e solo loro. La cosa davvero stupefacente, tuttavia, è un’altra: la selezione è messa in pratica per volontà non delle formiche crocerossine, ma delle stesse formiche ferite. Sono loro non voler essere salvate.
«Chi perde una o due zampe» spiega l’autrice «si mette immediatamente in una posizione che potremmo definire fetale: rannicchia le zampe rimaste, rendendo più facile il trasporto. Le formiche gravemente ferite, invece, all’arrivo delle soccorritrici si dimenano: detto in poche parole, non collaborano e quindi vengono lasciate indietro. Questa selezione dei feriti sul campo, anche se potrebbe sembrare atroce, massimizza le possibilità di sopravvivenza degli individui ed evita che vengano investite energie inutili su casi disperati».
Infine la cosa triste.
O forse, più che triste, malinconica.
Nessuna cicala conta per più di un’estate
Facciamo presto noi a dire cicale. La relativa famiglia (le Cicadidi) comprende più di 3.200 specie, tra cui quelle più diffuse in Italia, la cicala del frassino (Cicada ornis) e quella plebea (Lyristes plebejus). Quando pensiamo al canto delle cicale, facciamo riferimento a quello delle prime, il più caratteristico e conosciuto: «una serie di suoni monotoni, graffiati, ripetuti con la stessa cadenza per diversi minuti». Il canto delle plebee può invece essere paragonato a «una lunga frase continua e ripetuta composta da tre sezioni, una con volume e ampiezza crescenti, una costante e una discendente».
Ma al di là delle diverse specie e delle differenti tipologie di canto, tutto questo frinire ‒ che dura un mese, un mese e mezzo ‒ è funzionale a un unico scopo: l’accoppiamento. E soddisfatto lo scopo, subentra il nulla. «Quando le femmine si avvicinano ai maschi inizia il corteggiamento fatto di “abbracci” e di tocchi con le zampe. Una volta avvenuto l’accoppiamento, le femmine depongono le uova nel terreno e poi, maschi e femmine, stremati da un’estate d’amore intensa, muoiono tutti. Nessuna cicala, dunque, canta per più di un’estate, e i figli delle cicale che avete ascoltato l’ultima volta canteranno solo molti anni dopo».