Il grande successore
Fra qualche giorno, grazie a Blackie Edizioni, uscirà «un libro che è stato accolto come un evento, perché mai nessuno aveva messo assieme così tanti dettagli e nozioni e ne aveva prodotto una biografia di prima mano del leader nordcoreano Kim Jong-un».
Sono stato indeciso fino all’ultimo su quale citazione scegliere per festeggiare l’evento; e alla fine, visto che ho da poco terminato la visione di The Last Dance, ho optato per quella volta che Dennis Rodman — protagonista di quella che a mio parere è la puntata più bella (la terza) della serie — celebrò il trentesimo compleanno del suo amico Kim organizzando per lui a Pyongyang una bella partita di basket tra una selezione locale e una squadra composta da ex stelle dell’Nba.
L’8 gennaio 2014, nel giorno in cui Kim Jong-un compiva trent’anni, gli ex giocatori dell’Nba erano quindi in campo. Rodman venne fuori senza cappellino e si tolse gli occhiali, prima di rivolgere un profondo inchino a Kim Jong-un, seduto sugli spalti.
Poi, prese il microfono e sottolineò che il resto del mondo aveva espresso «opinioni contraddittorie» su quel viaggio e sullo stesso Maresciallo. Si trattò probabilmente di una delle dichiarazioni più sovversive mai pronunciate in pubblico in Corea del Nord, un paese dove la gente può avere una sola opinione sul Maresciallo: che è un semidio.
Quest’ultimo era appoggiato all’indietro nella sua poltrona, a perlustrare l’arena, in apparenza a domandarsi cosa mai sarebbe accaduto in seguito. Rodman continuò. «Sì, è un grande leader.
Provvede al popolo del suo paese. E, grazie a dio, la gente di qui ama il Maresciallo.» A quel punto si lasciò andare a una versione memorabilmente strampalata di «Tanti auguri a te».
Le agenzie di stampa locali fecero immediatamente tutto il possibile per rendere l’evento compassato, così come avrebbe dovuto essere, raccontando che Rodman aveva detto che «aveva sentito il rispetto che i nordcoreani provavano per Kim Jong-un» e «aveva intonato una canzone che rispecchiava la sua venerazione per Kim Jong-un, commuovendo gli spettatori».
Ma quel giorno le sorprese non erano ancora finite. Gli americani avevano iniziato la partita dando per scontato che, seppur più vecchi e ormai fuori forma, avrebbero comunque vinto a mani basse l’incontro.
Ma i nordcoreani, più giovani e allenati, dimostrarono che era meglio non sottovalutarli, superando e surclassando gli ospiti per tutto il primo tempo. All’intervallo, il risultato vedeva i padroni di casa in vantaggio 45-39. Gli sfavoriti si erano dimostrati decisamente più pronti degli americani, teoricamente superiori.
Alla fine del primo quarto Rodman era uscito esibendosi in una riverenza e si era seduto accanto al suo imperiale amico, con il quale aveva commentato con fervore ogni azione del secondo tempo. Kim era proteso in avanti e sembrava pendere da ogni singola parola dell’altro. Sorrideva e rideva di gusto, uno stato d’animo che continuò a palesare anche nel dopogara, quando il pubblico intonò una canzone che celebrava il leader mentre questi prendeva il centro della scena e salutava la massa adorante.
Dopo il match, stravaccato in una poltrona dentro una stanza attigua, Rodman era ancora su di giri. «Ho appena cantato “Tanti auguri a te” allo stronzo». Rise, in apparenza stupito di sé stesso. Ma il suo comportamento avrebbe avuto ripercussioni serie per lui.
Durante il match, Kim Jong-un aveva invitato Rodman e il grosso della sua delegazione a passare il fine settimana in sua compagnia nella località sciistica sul passo Masik, appena sorta.
Quando gli americani arrivarono, i membri della famiglia di Kim e altre figure di rilievo del regime erano già sul posto. Spavor, cresciuto a due passi dalle Montagne Rocciose, andò a sciare in compagnia del fratello e della sorella del dittatore. Terwilliger perse il controllo di un gommone gonfiabile sulle piste investendo diversi nordcoreani. Per sua fortuna, riuscì a fermarsi poco prima di finire in un dirupo.
Nel resort, Hwang Pyong-so, un ufficiale militare di alto livello, passò buona parte del tempo in mutande e canottiera accanto al telefono fisso nel corridoio del piano riservato ai vip. Si trattava del telefono per comunicare direttamente con il leader.
Kim Jong-un quel weekend non si palesò. L’amicizia di una vita era congelata.