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Funzionari al soldo della creazione del fatturato

Non ho mai posseduto un account Facebook, perciò l’unico modo che mi viene in mente per ringraziare la prof.ssa Fusini (e dirle quanto la ammiro) è farlo da qui, riportando per intero il suo intervento di qualche giorno fa. Poche mirabili parole che descrivono tutto lo squallore di operazioni editoriali ormai sempre più frequenti.



Oggi con desolazione su Robinson mi ritrovo a mia insaputa coinvolta in un’operazione commerciale fuorviante e avvilente, in cui si presenta Una stanza tutta per sé, utilizzando la bella traduzione dell’amica Maria Antonietta Saracino, da tempo scomparsa, con le mie note al testo, riprese entrambe dai Meridiani Mondadori da me curati. Tutto questo al fianco di una mediocre scrittrice di romanzi rosa, che firma la prefazione, e la postfazione di una scrittrice, polemista, giornalista, editorialista, organizzatrice di eventi culturali, e chi più ne ha più ne metta, che si ostina ancora a non distinguere tra “Al Faro” e “Gita al faro”. Quest’ultima, poi, su Instagram si avventura a supporre che sempre Virginia, mossa dalla sua inesauribile curiosità, magari avrebbe usato TikTok…
Ora, al mondo ci sono giornalisti e giornaliste seri e serie, persone oneste che senza troppe storie ci istruiscono in ordine alle cose che accadono nell’universo dei media. Dove nuove forme fanno irruzione e cambiano in parte la comunicazione. Adesso è arrivato il momento di scoprire TikTok? Ok, chi vuole faccia pure. Ma questo per favore non ci induca all’equivalenza tra le diverse forme di espressione. Qualcuno tempo fa ci ha insegnato che se il medium è il messaggio dobbiamo essere sempre più intelligenti, e non rifiutare nuovi media, ma certo non fare di tutta l’erba un fascio. E no, a dire il vero, Woolf io proprio non ce la vedo tiktokkare… o come diavolo si dice.
Il punto è che giornaliste e giornalisti attivi nella gestione dell’economia del mondo editoriale, più che scrittrici e scrittori, come si autodefiniscono, sono funzionari al soldo della creazione del fatturato di tale universo e sono pronti e pronte a tutto, e pur di fare caciara alla fine lasciano perdere le distinzioni e confondono il senso stesso del lavoro culturale. Che è per l’appunto quello di distinguere. Perché questo tipo di confusione è letale, spegne l’intelligenza. Acceca di fronte alla verità. E alla fine mette a fuoco solo il successo, basato sulle copie vendute e sul numero di visualizzazioni ricevute.
Virginia Woolf non merita questo trattamento. Non lo meritano le lettrici e i lettori. E penso di non meritarlo neppure io, che a quelle note ho lavorato con rigore e passione per un progetto editoriale tutto diverso.

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